Come il bravo colonnello Caravà e i suoi granatieri ci accogliessero da vecchi camerati; e come poi, il 4 novembre, si proseguisse alle 7 e mezzo del mattino, in ferrovia fino a Figline, e là, alle 5 di sera, il generale venisse arrestato, tutti sanno: e non io starò qui a ripeterlo, quell'episodio, così grandioso e drammatico nella sua semplicità.
Io non feci più né meno degli altri; e però non posso lasciar andare in pace quella versione, che mi venne riferito fosse allora corsa sul conto mio: ossia, che con ira generosa, all'udire la intimazione del colonnello Camozzi, io avessi portata la mano alla impugnatura della sciabola. Ma se non avevo sciabola!
Ben altro di meno fiero abbiamo fatto, Missori, mio padre ed io, in quella circostanza. Allorchè la stazione di Figline venne inesorabilmente chiusa a tutti, noi tre, portatici alla estremità del piazzale esterno, penetrammo fra le tenebre sino all'ultimo vagone, vuoto, di terza classe, e, soli fra i commilitoni, viaggiammo nel treno, che portava Garibaldi prigioniero, sino a Firenze.
Quando il convoglio si fermò all'alba nella stazione di Santa Croce, già sgombra e guardata dalle truppe, noi ci avvicinammo, non contrastati, al nostro duce venerato. Ei ci abbracciò tutti tre, e ci salutò per nome; poi, fra i raggi del sole nascente, che lo avviluppavano come in un nimbo d'oro, ei si dileguò da' nostri occhi.
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Con gli avvenimenti dell'Agro romano del 1867 ha termine l'epopea dei volontari in Italia. Ma a me non piace chiudere il libro con il nome di Mentana. Preferisco porre fine alla mia narrazione con un episodio del 1870.
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