Tra quel viavai, rammento un uomo sulla cinquantina, un po' curvo, forse dal lavoro, che, nel suo cammino, tirava un carretto, carico di merci.
Partiva da Montorio tutte le mattine, qualunque il tempo, per recarsi a disbrigare affari a Teramo, per conto di altri. Aveva commissioni anche da mia madre. Ripassava dinanzi a casa nostra, alle ore tre, tanto che noi lo chiamavamo "Il Tre".
Uomini antichi che, per guadagnarsi onestamente il vivere, si sottoponevano a qualunque fatica.
Rammento pure un cenciaiuolo e venditore ambulante di piccoli oggetti, Marcello, che passava di tanto in tanto con la sua cassetta a tracolla e con il suo sacco per i cenci.
Aveva aspetto, nella sua maturità, piuttosto burbero, con il viso un po' avvinazzato. Voleva essere, con il suo sacco, il suo cipiglio, i suoi strani sermoni, pure lo spauracchio dei bambini, ma non era che un burlone che cercava di guadagnare allegramente la vita.
Per un po' di tempo, in quel periodo, vidi ancora passare, in sulla sera, un uomo, dall'aspetto civile. Egli, nel suo andare, riprendendo, da una scorciatoia, la strada nazionale, si dirigeva verso Teramo.
Uomo strano che non doveva essere più in possesso delle sue facoltà mentali. Si fermava di tratto in tratto, gesticolava, parlava ora a voce alta, ora a voce bassa, come se attorno a sé vi fosse gente in ascolto. Pareva che talvolta, per la poca urbanità degli ascoltatori, s'inquietasse, s'irritasse.
Sul ponte che attraversava il Tordino, sostava a metà, e da uno dei parapetti, come in un arringo, favellava alle acque, che correvano sotto, verso il mare.
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