Fra gli alunni prediligevo due fratelli gemelli, perfettamente uguali nella somiglianza, figli del capo della cartiera, di proprietą degli Strina.
Tra le molte bambine vi erano le sorelle Vicentini, molto graziose; ma il mio piccolo cuore aveva turbamenti per la nipotina del parroco, Candida Morelli, disinvolta e simpatica. Desideravo, nel mio segreto, che fosse sempre presente a scuola; quando mancava ne ero afflitto. Essa, nell'infantile ingenuitą, pareva che ricambiasse i miei sentimenti.
Durante le vacanze m'aggiravo, per poterla vedere, attorno alla sua casa, e frequentavo con maggiore assiduitą la chiesa, cercando di mettermi in vista, nelle vicinanze dell'altare. La piccola Candida, dai capelli bruni e dal viso di rosa, mi guardava con dolci occhi.
Un giorno di settembre me ne andavo lungo il fiume, solo e raccolto nei miei piccoli pensieri, quando scorgevo, seduta sotto un albero, la bella coetanea. Giungevo a lei, che mi guardava e mi sorrideva, e ci parlammo.
Ci parlammo, nel vago smarrimento, in una poesia, che noi, forse, non intendevamo. Ci parlammo, mentre l'acqua, nella sua chiarezza, mormorava dolcemente, ed in alto, sul salice, dopo gli amori estivi, flebile cantava la capinera.
Amore? Le piccole vibrazioni del cuore lo potevano far credere. Quelle vibrazioni che ci inducevano a star vicino a scuola, a ricercarci fuori, a rendere festoso l'incontro, felice la sosta, melanconico il distacco.
Potevano considerarsi quei sentimenti, nella vaghezza dell'infanzia, come i primi trilli degli uccellini, avvolti di verde, nella siepe in fiore; come i primi profumi, quasi inavvertiti, della violetta, che sboccia ai primi tiepidi raggi di aprile; come i vaghi colori dell'alba, che precede, nel risveglio, il grande astro, donatore di luce e di calore.
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