Fiori senza insidia, luci senza ombre, pensieri senza malizia.
Varia, quindi, e piacevole si svolgeva la vita a Tempera, quando, in quella stessa casa, dove era nato il babbo, in tempo di vendemmia, nasceva Federico, il nono dei fratelli.
Nella primavera del prossimo anno il babbo doveva accorrere a Teramo, al capezzale della madre morente.
Scompariva, in tal modo, in età non ancora avanzata, donna Doralice Strina, la compagna cara a colui che aveva dato inizio negli Abruzzi, ad un altro ramo degli Adamoli, distaccato da quello di Lombardia.
Tolta, nel fiore degli anni, dagli agi d'una vita civile, aveva seguito il marito nelle peripezie politiche, su per le montagne coperte di neve, senza una protesta, senza un lamento. Né insofferenza aveva mostrato, negli anni di solitudine, sulle rive del Mavone, nei pressi di Tossicia. Rimasta vedova, nella contrada di Rocciano, disdegnava di tornare all'Aquila, presso i fratelli. Aveva preferito il disagio, pur di conservare, per sé e per i figli, una decorosa indipendenza.
In quella occasione il babbo e lo zio Giovanni parlavano di una società, da costituirsi a loro nome, riprendendo l'esercizio della fonderia di Rocciano, che era in crisi.
Pel momento non riteneva il babbo di aderirvi, trovandosi bene a Tempera, anche per la proprietà che vi possedeva. Ma proprio in quel tempo, come una fatalità, in quei soci, nei quali era stato sempre il più perfetto accordo, sorgeva una grave quistione. L'uno addossava all'altro la responsabilità dell'acquisto d'una grossa partita di rame, giunta dall'America, non atto, per la qualità, alla lavorazione della fonderia. Notevole la perdita. Non riuscendo, i soci, in via bonaria, a raggiungere un accordo, provocavano l'intervento dell'autorità giudiziaria, e la società si scioglieva.
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