Essendo, quindi, il babbo libero, riprendeva con Teramo le trattative, che concludeva, in breve tempo, favorevolmente.
RITORNO A ROCCIANO
La mamma non era troppo entusiasta della nuova partenza. A Tempera viveva bene, anche per la vicinanza della chiesa, ove poteva compiere, agevolmente, essa religiosa, i doveri della religione. Ma il problema, in quel momento, non poteva essere risolto in altro modo. Non era sufficiente la rendita della campagna, per tutti i bisogni, presenti e futuri, della numerosa famiglia; né, in quel piccolo centro, vi era possibilità d'altra rimunerativa occupazione.
Era necessario, di conseguenza, rimettersi in viaggio.
Il distacco da Tempera, ad ogni modo, dove si lasciavano interessi e tante buone amicizie, non poteva non addolorare. Noi, ragazzi, avidi di novità, non vi facevamo molto caso. Anzi tenevamo con i piccoli amici, che restavano, una certa aria di superiorità.
Quantunque la partenza avvenisse di buon'ora, pure una folla di gente era attorno alla carrozza, che doveva condurci, per il treno, alla stazione di Paganica.
Vi era anche, con la madre, la piccola Candida, confusa e turbata.
Auguri, promesse di visite, strette di mano, abbracci, tra lagrime, e "addio, addio", mentre la carrozza si muoveva. Si passava sul ponticello, dove udimmo ancora il mormorio lento del Vera, che pareva anche lui alzasse i suoi lamenti, per la nostra partenza.
Ad oriente apparivano i primi chiarori dell'alba.
S'arrivava a Rocciano, accolti festosamente dai vecchi amici, quando l'autunno aveva già diffuso, nella spoglia campagna, la sua malinconia. L'attività vi era ripresa alla stesso punto, in cui era stata lasciata cinque anni prima.
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