Fortunati essi, che non dovevano percorrere nessuna strada per andare a scuola, che la loro vita di studio, in bei saloni riscaldati d'inverno, era circondata da tante cure, confortata da tanta agiatezza, allietata da tante promesse, cullata da tante speranze.
Il confronto tra la loro e la mia vita conduceva ad amare considerazioni. Ne rimanevo mortificato. Apparivo, al loro paragone, un povero tapinello, sperduto nella comune folla.
Ma tante altre volte incontravo, invece, su quella stessa strada, usciti pure a passeggio, coloro che sarebbero dovuto essere, l'anno dopo, miei compagni di studio. E li guardavo, li osservavo nel loro muoversi, nella loro composta condotta e me ne compiacevo, e fantasticavo su quella mia futura vita.
Anche per me la fortuna avrebbe avuto i suoi sorrisi.
ADOLESCENZA INQUIETA
Ma le cose si svolgevano in un modo ben diverso da come erano state predisposte. Quando, appunto, con il corredo già pronto, dovevo entrare in seminario, s'abbatteva sulla nostra casa la bufera, dalla quale doveva essere sconvolta e travolta.
Dopo breve malattia moriva la buona zia Annunziata, la cognata affettuosa, la moglie esemplare, la dea benefica delle due famiglie. Se ne piangeva la scomparsa, in un nero presentimento, con molte lagrime.
Nel successivo anno il fratello Giuseppe partiva per soldato. Poco dopo moriva a Giffoni la nonna, madre della mamma. Nasceva a Teramo, dopo Maria Gesù, l'undicesimo dei figli, la sorella Argira.
La scomparsa della nonna induceva al ritiro da Giffoni di Ciriaco e Maria Concetta, che essa teneva presso di sé. Anche Allegrezza, che era con la zia Annunziata, rientrava in famiglia, con dolore delle sorelle Urbani, presso le quali passava una parte del giorno.
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