Con l'entrata al seminario sarebbe stato risolto per me, in modo definitivo, il problema della scuola.
Conquistato dall'idea, compreso, quale curato in erba, dalla dignitą sacerdotale, assumevo un atteggiamento di serietą e di compostezza, degno dell'alta futura missione. Partecipavo a tutte le funzioni di chiesa e servivo la messa con molta disinvoltura.
Non riuscivo a ben ritenere la risposta allo "Orate frates". Balbettavo, nel recitarla, parole sconnesse, ed andavo avanti.
Ero capace, d'altra parte, di servire tre messe, nello stesso tempo, come quando venivano a Rocciano, per le funebri funzioni a favore dei defunti della famiglia Spinozzi, i sacerdoti, non meno di venti, delle altre parrocchie.
I tre altari della piccola chiesa funzionavano, per far presto, contemporaneamente. Io, essendo solo, dovevo correre dall'uno all'altro altare, per rispondere al sacerdote, suonare il campanello, spostare il messale, mescere, nel calice, l'acqua ed il vino. Il pubblico, che assisteva, ritenendomi fanciullo prodigio, guardava ed ammirava.
Il pranzo di molto ore, che andavo a godere, insieme ai preti, che si mostravano allegri e chiassosi, l'avevo proprio guadagnato.
Si facevano sul mio avvenire i pił lieti pronostici. Anch'io sognavo, non un vescovado, ma una bella parrocchia, per svolgervi, in serenitą di vita, la mia missione sacerdotale.
Spesso, andando nel pomeriggio a Teramo, incontravo, nei pressi della Madonna della Cona, disinvolti ed allegri, i convittori del Collegio nazionale, vestiti delle loro eleganti divise nere. Nel vederli mi si svegliavano, nella mente, molti pensieri. Come erano fortunati quei giovani mortali, molti dei quali dovevano appartenere a quelle famiglie, che sulla sera, si vedevano passare, in lussuosi cocchi, tirati da superbe pariglie, per le vie della cittą.
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