A mano a mano ognuno era preso da un senso di sgomento, d'accoramento. Nera in quella casa, già così festosa, era l'aria. Tutto infastidiva. Dallo stesso canto della civetta, prima deriso, si traevano melanconici pronostici.
Il Tordino medesimo, la cui voce giungeva sempre come quella d'un amico, non si dimostrava neppure lui generoso.
In un giorno del mese di luglio, neri nuvoloni s'agitavano, s'accavallavano nel cielo della montagna: nuvoloni che, a mano a mano, tra lampi e tuoni fragorosi, si distendevano, s'allargavano, invadevano altre zone. Pareva che il cielo stesso inveisse, con tutto il suo furore, su la povera terra. Scrosciava l'acqua, come un diluvio, e cadeva la grandine; scrosciavano i canali, le grondaie, i vicini fossi; alzava il Tordino, nella valle, mentre i fulmini cadevano su le querce, la sinistra sua voce.
Calmavasi, sul mezzogiorno, il temporale; squarci di sereno, con i segni dell'arcobaleno, apparivano qua e là, tra le nubi, che correvano sempre veloci, nel vasto cielo.
Nel mentre le lumache sbucavano nella siepe e gli uccelli riprendevano il volo, alcuni osservatori lanciavano, dall'alto del ponte, grida d'avvertimento a coloro che s'aggiravano di sotto, lungo il letto del fiume. Una piena, di vaste proporzioni, avanzava con tumultuoso impressionante rumore. Arrivava, s'allargava, avvolgeva, invadeva, con le acque limacciose, gli orti, il mulino, la fonderia, le vicine case d'abitazione. Spettacolo mai visto, che destava sgomento e maraviglia.
Tra i vortici delle livide acque che correvano, come furie, con il fragore della tempesta, apparivano e scomparivano arredi, tronchi d'alberi, bestie, forse anche vittime umane.
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