Probabilmente quelle cambiali, con un pretesto qualsiasi, erano state fatte firmare, dal non troppo onesto ingegnere, per la quistione del rame, in qualcuna delle cene, nelle quali il babbo spesso partecipava.
Anche il commercio in ceramica, iniziato a Giffoni, per complesse ragioni, non proseguiva.
La discesa continuava, inesorabilmente. Nel 1894, Giuseppe, già in qualche modo occupato, era d'improvviso arrestato, quale renitente alla chiamata alle armi. Poiché figurava nelle liste di leva al posto del fratello Ciriaco, dal quale era stato sostituito, doveva anche rispondere, senza che egli lo sapesse, dei suoi obblighi militari. Il Ciriaco, anche volendo, non vi poteva provvedere, poiché, compiuto il servizio della sostituzione, contraeva per proprio conto nell'Esercito, per non tornare a casa a fare il disoccupato, una ferma di volontario ordinario di tre anni.
Il tribunale, che non ammetteva, nella sua severità, giustificazioni, lo condannava a due anni di carcere militare. Per il carcere, su petizione della dolente madre, otteneva la grazia sovrana, ma per la seconda volta doveva partire per soldato, al posto, appunto, di Ciriaco.
Si trovavano, quindi, contemporaneamente alle armi due fratelli.
Allontanatosi di nuovo il primogenito, il peso della famiglia rimaneva su Antonio, che, in verità, rispondeva, in quella occasione, ai suoi doveri, con generoso cuore.
Le condizioni di salute del babbo, dopo il ritorno dall'Aquila e dopo il fallito esperimento commerciale, tornavano a peggiorare. Non era possibile farlo ricoverare in una clinica, come sarebbe stato necessario per una buona cura, poiché le riserve, costituite dalle economie e dalle diverse vendite, ogni giorni di più si riducevano.
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