Iniziai la nuova vita con un grazioso episodio. Il giorno successivo all'arrivo, il Comandante, che faceva sfoggio di molti galloni, nel passare in riserva i nuovi giunti, ancora in abiti civili, si fermava per osservare che cosa facesse il ragazzo, indicando me, in mezzo agli allievi.
Avevo l'altezza e la robustezza per il servizio militare ed avevo diciotto anni, ma, in verità, dalla delicatezza del viso, non ne mostravo più di sedici. Invitato ad uscire dalle file, dopo molte domande, fui condotto negli uffici per gli accertamenti. Non si persuadevano della mia identità, che solo dopo l'attento esame delle mie carte.
Non meno meraviglia destai nella popolazione, quando comparii in divisa nelle strade della piccola cittadina. Tutti si domandavano chi mai fosse quel ragazzo, che passeggiava in divisa di finanziere. Ero anche fermato, interrogato, carezzato.
Ero, comunque, soddisfatto del mio nuovo stato, che, nonostante la dura disciplina, mi rendeva libero, padrone di me, arbitro del mio avvenire. Una strada dinanzi a me era aperta, che io potevo percorrere a mio piacimento, sino alla luce, che splendeva in fondo. Ero lieto, inoltre, di essere al servizio non del privato, talvolta burbanzoso e villano, ma della patria che, nella tradizione familiare, sin da bambino, avevo fortemente amato.
Si presentava quel reparto, fabbrica dei Finanzieri d'Italia, molto movimentato. Vi erano giovani di tutte le provenienze, di tutti i ceti, di ogni educazione. Lo popolavano: figli di contadini e di operai, dalle mani ruvide e dai modi grossolani; figli di magistrati, d'ufficiali, di professionisti, bene educati e con titoli di studio; studenti eleganti, qualche volta boriosi, che avevano i più fallite le prove; studenti bravi, che per difficoltà economiche, erano stati costretti ad abbandonare la scuola.
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