Nei giorni successivi parve che fosse avvenuto un mutamento nei propositi dello zio. Forse era stato colpito dalla mia serietà, dalla mia forte volontà di lavoro e di progresso. Dopo di essersi consultato, nella notte, a letto, con la moglie Ambrosina, mi disse un giorno che se io volevo, potevo rimanere presso di lui. E si ebbe a parlare di molti progetti, da compiere nell'avvenire.
Nella gretteria, nel timore, nell'ottusità in cui vivevano allora i commercianti, molta fortuna poteva incontrare chi si presentasse, per ardite iniziative, con spirito nuovo.
Ma dopo qualche giorno, mentre mi stavo adattando, con una certa gioia, alla nuova vita, avveniva, nelle idee dello zio, altro improvviso mutamento, questa volta, in verità, non per colpa sua.
Una donna, della famiglia dei rettili, che abitava in un altro appartamento della stessa casa, aveva riferito allo zio, per seminare zizzania, un discorso, con il fratello Vincenzo, mai da me pronunciato, propositi, contro la casa che mi ospitava, mai da me concepiti.
Primo mio incontro diretto con la malvagità umana!
Quella donna, che aveva una figliuola, per la quale forse aveva messo gli occhi, per un futuro matrimonio, su Vincenzo, non desiderava che io restassi a Teramo.
Al diciottesimo anno, senza più discutere, partii per Maddaloni, quale allievo, per compiervi, nei soldati dalle fiamme gialle, il prescritto corso d'istruzione.
Lasciai Teramo in un caldo pomeriggio dei primi d'agosto, tranquillo. Forse un futuro diverso da quello agognato era a me riservato. Entrai nella caserma di Maddaloni, unitamente ad altri giovanissimi compagni, incontrati lungo il viaggio, sereno, con le più belle speranze.
|