Sul finire dell'estate, precisamente ai primi di settembre, avevo un incontro pił degli altri gradito, da lungo tempo desiderato.
Tornavo sul mezzogiorno con il piroscafo da Porlezza ad Oria, ove dovevo scendere. Poco dopo la partenza mi s'avvicinava un passeggiero, evidentemente intellettuale. Il discorso, che ne seguiva, cadeva su quelle montagne, sul malinconico lago, sulla Valsolda, sul "Piccolo mondo antico", sul Fogazzaro. Io che pił volte avevo letto l'aureo romanzo, sul posto degli stessi avvenimenti, che ne conoscevo quasi i personaggi, davo a quel signore minuti, preziosi ragguagli. Gli indicavo, a mano a mano che si presentavano in vista, i villaggi, le strade, i luoghi tutti in cui gli episodi d'umanitą e di poesia,, d'amore e di dolore, s'erano svolti. In vista di Oria indicavo la villa abitata da Franco, e la darsena, ove nel fatale temporalesco giorno, annegava la bambina di Luisa, l'Ombretta sdegnosa del Missisipģ.
Mentre parlavo, con infiammata ansia, m'accorsi che un signore, seduto non lontano, brizzolato, leggermente curvo, con un non so che di ascetico nell'aspetto, mi guardava, attraverso gli occhiali d'oro, con evidente compiacenza.
"Bravo" ad un certo punto mi diceva. Era proprio Antonio Fogazzaro, diretto, con la famiglia, alla sua villa di Oria, per trascorrervi, come consuetudine, il mese di settembre.
Nelle soste, che io vi facevo, lo incontravo, e si mostrava con me molto cortese. Ero ammesso pure nella sua casa, ove conoscevo la giovane figlia Maria, con difetto ad una gamba, per paralisi infantile. Conoscevo anche lo zio, l'ingegnere Rivera, altro personaggio del romanzo, colui che nel giardino pensile scherzava, beatamente, con la Ombretta sdegnosa.
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