T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


Pagina 72
1-10- 20-30- 40-50- 60-70- 80-90- 100-110- 120-130- 140-150- 160-170

[Indice]

     Talvolta a sera, quando alto era il silenzio, e muto passava il fascio del proiettore della torpediniera di vigilanza sul lago, vedevo, tra i fiori della terrazza, il Fogazzaro, solo, come smarrito nelle ombre, nei tenui sospiri delle acque, mentre di là, nella sala, al pianoforte, la buona mesta Maria gli accelerava, con le divine notturne melodie, con quelle delle onde, i palpiti del suo commosso poetico animo.
     Chi sa in quell'ora, dolcemente mistica, quali luminosi fantasmi sconvolgevano l'agitato suo spirito.
     Forse molti di quei fantasmi, generosamente arrendevoli, erano consacrati, per l'altrui spirituale godimento, nella benefica sensibile carta; altri, forse i più belli, svanivano, con lo svanire del suono, nelle ombre mute della notte.



     In quel tempo altro incontro fortunato avevo su quel piroscafo, mentre questa volta viaggiavo da Lugano a Porlezza. Conversavo con altro signore, loquace e simpatico. Mi diceva, quando sapeva il mio luogo di nascita, di conoscere l'Abruzzo, dove aveva parenti. Dalle indicazioni che forniva arguivo che egli doveva essere un Adamoli, della famiglia di Narro. Tale era, ed il riconoscimento avveniva in una manifestazione di commovente affettuosità. Da quell'incontro nasceva la certezza che avrei visitato, ciò che molto bramavo, la casa della Valsassina.
     Le cose non andavano, però, sempre pacificamente, come in tranquillo mare, non essendo ciò nell'ordine delle umane vicende.
     Non tutti di quei miei compagni d'arma sopportavano la mia scelta a quel comodo remunerativo servizio su i piroscafi. Le relazioni tra noi, anche per la mia indole docile, non potevano non essere cordiali. Nonostante ciò, due di essi, punti da malefico spirito, non avevano scrupoli dal formulare, sul mio conto, false accuse. Mi sarei espresso, secondo la loro denuncia, con una donna, in termini molto lesivi dell'onore degli ufficiali, da cui dipendevo. L'accusa miseramente cadeva, poiché la sera, in cui sarebbe avvenuta l'incriminata conversazione, era stata da me trascorsa, non ad Oria, ma a Campione.


[Pagina Precedente] - [Indice] - [Pagina Successiva]

Umberto