T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Per un momento, ancora sbigottito, come quegli che "uscito dal pelago alla riva", mi volsi a rimirare il passo, con il fermo proposito di non ripeterne più la pericolosa prova.



     SMARRIMENTO

     Alla fine di quel secolo, ricco di gloriosi eventi, in cui la patria, mercé il valore, il sacrificio, il sangue versato dai suoi figli migliori, aveva riconquistato la sua unità e s'avviava verso maggiori fortune, io conseguivo, giovane tra i giovani, i primi galloni, con la promozione, per esame, a sottufficiale.
     Era il primo gradino, l'inizio festoso dell'ascesa. Ma questa gioia, condivisa dalla mamma lontana, come in tutte le cose umana, non mancava di velarsi di malinconia.
     Con la promozione dovevo lasciare quei luoghi, ormai tanto a me cari, dove mi chiamavano ancora, vezzosamente, bimbo; dove vivevano amici, parenti, quei tanti piccoli cuori, che per me avevano palpitato, quelle buone donne, che m'avevano carezzato con affetto materno.

     Dovevo lasciare quel lago avvolto di mestizia, con i palpiti del quale, come persona amica, avevo dolcemente palpitato.
     Dovevo lasciare quel delizioso "Piccolo Mondo Antico", ove il vago fiore dell'adolescenza s'era aperto ai primi caldi raggi della giovinezza luminosa.
     Dovevo lasciare, ciò che maggiormente m'attristava, quel collegio di Porlezza, in cui, quale iniziato ai misteri del tempio della cultura, il mio animo s'era vieppiù elevato nel cielo azzurro dei sogni, nelle lusinghe vaghe delle speranze.
     L'addio a quei monti, a quel lago, alle persone che vi vivevano, alla mia fanciullezza, cara anche se afflitta, usciva con il pianto dal mio agitato animo.


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Umberto