Lampi, tuoni, grandine, vento s'elevavano, a mano a mano, ad una concorde potenza, da far ritenere come giunta, spaventevolmente, l'ultima ora del mondo.
Nessuno potrą mai immaginare, se non ne sia stato testimone, che cosa sia un temporale in montagna.
L'acqua, gił per i pendii e per i valloncelli, scrosciava a torrenti, con voce sinistra; la parte piana, nel basso, era tutto un lago; l'aria tutto un fuoco; il cielo tutto un rumore. I fulmini danzavano, diabolicamente, attorno a noi, chiusi, come ultima salvezza, nei sacchi a pelo, coperti d'acqua.
Credevamo di non rivedere il giorno.
Due ore durava quella diabolica rappresentazione, concepita, evidentemente, e diretta, dal pił infernale genio, degli abissi pił profondi.
Sulla stessa mia linea non erano mancate, purtroppo, le sante vittime. Due delle otto guardie, nel pericolo, s'erano rifugiate in una capanna di paglia. Un fulmine, assetato di sangue, vi cadeva sopra e le uccideva. La capanna s'incendiava. Quando, attirati dalle fiamme, accorremmo, la capanna era tutto un rogo. L'opera di spegnimento era resa difficile dallo scoppio delle cartucce, che quelle povere vittime, che bruciavano con la capanna, avevano nelle giberne, essendo armate di fucili.
Raccogliemmo quei compagni ad incendio domato, carbonizzati. Ad uno di essi, avendo fatto studi classici, sorrideva il pił bell'avvenire.
Avevano salito l'erta con me, poche ore prima, pieni di fede e di gioiosa giovinezza; ne ridiscendevano, poche ore dopo, bruciati, in mesto funebre corteo.
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