T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Dopo, nel tumulto dei miei pensieri e dei miei desideri, riprendevo la via del ritorno, soddisfatto d'aver reso, sia pure in un modo così strano, un tributo d'affetto alla gentile sfortunata innamorata.


     Anche nella nuova residenza, di confine sempre, non mi sottraevo ancora all'altrui attenzione e curiosità. Non potevo essere più, con i venti anni suonati, il bimbo di Oria; ma ugualmente colpivo, per il grado che avevo, in età molto giovane; età che poi non dimostravo, conservando un aspetto sempre di adolescente. Si facevano, di conseguenza, sul mio conto, per la mia carriera, i più lieti pronostici.
     Nella nuova contrada, Valle d'Intelvi, bella anche essa, nella verde freschezza, ebbi ad assistere, tra la vita e la morte, ad un altro spettacolo, offerto, su la montagna, dagli spiriti folli dell'abisso.

     Era caduta la notte e gli otto uomini che mi dipendevano, giovani come me su i venti anni, vigilavano già, in punti diversi, lungo la linea di confine, nostra trincea di guerra, in tempo di pace. Salivano, nell'aria torva e nel caldo afoso di luglio, dal monte Generoso, grossi nuvoloni, dalle tinte sinistre; altri, in altri punti, correvano, a largo spiegamento, il cielo senza stelle. Guizzavano i primi lampi; si udivano i primi fragori del tuono. Cadevano i primi scrosci di pioggia; aumentava il vento. Il valloncelli, a mano a mano, si gonfiavano, l'acqua torbida straripava, inondava i terreni, nell'alto e nel basso. Il tuono, con l'intensificarsi dell'uragano, diveniva un sol fragore, cupo, profondo. Cadeva la grandine, fitta, più fitta, con chicchi grossi come ova, ed imbiancava la contrada come neve. Cadevano i fulmini fitti, più fitti. Cadevano senza tregua, come la grandine, su gli alberi, su i massi, su le rocce, su tutte le cime, con fragorio di sterminio.


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Umberto