T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     E rattristava, in quella solitudine, la visione della zona delle saline, più ancora la massiccia nera costruzione del bagno penale, entro il quale l'umanità traviata espiava i suoi delitti.
     I pastori, nel loro senso d'ospitalità, spesso ci offrivano il formaggio delle loro pecore, e l'agnello, molto gustoso, arrostito, con una procedura speciale, sotto la bracia.
     Oggi ancora ricordo quelle silenziose contrade, i costumi, le cantilene da paesi orientali, di quella brava taciturna gente. Gente fiera, la cui gioventù eroica rincontravo, poi, protagonista di eroiche gesta, nella prima grande vittoriosa guerra.
     Ricordo pure il laccio che l'insidia, anche nella romantica isola, m'ebbe a tendere per due volte: insidia non d'amore, ma di morte.
     In una di quelle sere di studio si spegneva, d'improvviso, la luce alimentata dal gas. Ne approfittavo per gettarmi, vestito, un po' sul letto, per riposare. Avevo la schiena indolenzita, le idee confuse. Nella stanchezza mi coglieva il sonno. Nella notte, ad un certo momento, sentivo, nel sonno, come se qualcuno o qualche cosa mi soffocasse. Mi svegliavo, a stento, ad avvertivo, in una pesantezza di capo, d'avere le forze paralizzate.

     Avevo dimenticato, al cessare della luce, di chiudere il rubinetto ed il gas, che, al ritorno, aveva riempito la camera, stava per uccidermi, senza pietà.
     Con uno sforzo non lieve riuscii a trascinarmi sino alla finestra che aprivo ed ero salvo.
     Seconda insidia. Nel caldo di luglio, io ed il brigadiere compagno d'ufficio, eravamo andati in un luogo solitario, lontano dalla città, per tuffarci, beati, nelle mosse azzurre onde di Nettuno. Con molta prudenza, nel godimento del nuoto, mentre il mare ingrossava, eravamo passati dall'una all'altra delle così dette secche. Nel tornare indietro, superando già l'acqua, su le secche di riposo, la nostra altezza, eravamo costretti di continuare, senz'altro, verso terra.


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Umberto