Non mi sarei dovuto interessare di quel ritorno. Quando però sapevo che i rimpatriati, da Vietri sul mare, si dirigevano verso Giffoni Vallepiana, l'amor fraterno mi spingeva ancora ad intervenire. Non sarebbero ad essi mancati, nella valle del Picentino, che nulla offriva, altre peripezie, altri guai.
Chiamavo, di conseguenza, Giuseppe a Teramo, e mi adoperavo affinché si concludesse con Federico una società, con quell'azienda già bene avviata.
La nave degli Adamoli, quindi, rimessa in assetto, navigava a vele spiegate, quando a turbare nuovamente il corso scoppiava, nel 1914, la guerra mondiale.
Da questa nuova guerra poteva l'Italia, se sapeva fare, trarre grandi vantaggi. Ma non tutti gli italiani, agitati da contrapposte tendenze, lo capivano. Ma contro i così detti neutralisti, dalla mente d'oca e dal cuore di coniglio, sorgevano gli interventisti, discendenti dagli eroi del risorgimento. Gli uni e gli altri ricorrevano a tutti i mezzi, e di stampa e di piazza, per far trionfare la propria tesi.
Dopo un regolare corso, sulle mitragliatrici, nella Scuola militare di Parma, ero trasferito da Ascoli Piceno al mio centro di mobilitazione di Torino.
Il Piemonte, fortemente neutralista, condotto dall'autorità di Giovanni Giolitti, non si riconosceva più nella sua gloriosa tradizione nazionale. Contro il popolaccio torvo e ringhioso, forse pagato, s'ergevano, però, a rialzare la bandiera della riscossa, ripiegata a San Martino, i cuori caldi e saldi degli studenti e dei forti veri italiani.
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