Non passava giorno che non avvenissero, tra i due gruppi, scontri, anche sanguinosi. E non soltanto in Piemonte. Ma la voce dell'Aedo italico, che s'elevava sdegnosa e poderosa dallo scoglio di Quarto prima, e dal sacro Campidoglio dopo, fustigando e fugando i vili, apriva, alle armate latine, la via alla marcia gloriosa.
Partivo da Torino, con il mio battaglione, mentre le agitazioni erano sempre vive, ai primi di maggio, diretto al fronte del Trentino.
Altro cuore, in veritą, trovammo nei Veneti, che non avevano dimenticato il duro bastone austriaco, che guardavano, con animo fraterno, a Trento e a Trieste.
Il pensiero della patria da difendere, da rendere, con le altre rivendicazioni, pił grande, faceva sospendere ogni altro desiderio.
Nella notte del fatidico 24 maggio, al comando, appunto, d'un reparto mitraglieri, vegliavo gią nelle trincee di Marcai di Sopra, Altipiano di Asiago, con le armi pronte per il fuoco.
Il primo scambio di cannonate, nella notte agitata, svegliava, nella profonda commozione, le pił belle speranze.
La guerra libica, condotta con intendimenti di conquista, era stata conclusa vittoriosamente. Non poteva la guerra, doppiamente santa, che s'iniziava in quel momento, non avere il suo glorioso epilogo.
Si doveva, nel nuovo conflitto, non solo completare l'unitą, con la riconquista delle belle province che ancora gemevano sotto il bastone austriaco, ma doveva l'Italia, nella nuova storia, dar prova, nel consesso dei popoli, della sua guerriera e civile capacitą.
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