Arduo il compito, ma che i nuovi combattenti, gią schierati in armi, avrebbero saputo onorevolmente assolvere.
Io mentre vegliavo in ansia, nella notte oscura, non potevo non risalire, in relazione alla guerra, la storia, da quando le legioni di Roma, apportatrici di leggi e di civiltą, con spirito costruttivo, correvano vittoriosamente il mondo, a quando le orde barbariche, nei fatali ricorsi, con selvaggio animo demolitore, rotte le dighe, riuscivano a dilagare nel territorio sacro. E ripensavo ai secoli di sventure e di servaggio, al tanto sangue versato, ai tanti eroici sforzi compiuti, dagli avi gloriosi, per riconquistare la libertą, la nazionale unitą. Ripensavo ai martiri, agli eroi di quegli sforzi, tra i quali si dovevano annoverare i forti parenti di Como e dell'Aquila.
Mi proponevo in quella guerra, nella quale, per la benignitą del fato, anch'io partecipavo, se non vi cadevo subito, d'essere degno degli avi.
Ero lieto, quindi, quando, in seguito, potevo prender parte a combattimenti, ed azioni pericolosamente ardite, assecondato sempre, e con entusiasmo, dai miei bravi mitraglieri.
Una forte amarezza dovevo provare nella notte dal 15 al 16 agosto di quel primo anno. Nel cielo stellato splendeva, nel solenne silenzio, la pił bella luna. Le truppe, dopo una violenta preparazione d'artiglieria, uscivano chete chete per attaccare le posizioni nemiche da conquistare. In ognuno vi era, in veritą, entusiasmo, fervore, e qualche cosa si sarebbe fatto. Disgraziatamente, per colpa del 115. reggimento di fanteria, che andava all'assalto prima che ne ricevesse l'ordine, l'azione miseramente falliva.
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