T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Il nuovo giorno illuminava, non la vittoria, ma il reggimento distrutto, che giaceva nel sangue, dinanzi alle trincee del Basson, difese ferocemente dal nemico.
     Passavano altri mesi. Dopo un notevole fortunato sbalzo in avanti in altro settore, vegliavo sulle alture del ponte di S. Colombano, tra i leni di Vallarsa e di Terragnolo, nei pressi di Rovereto. Nel mattino del 7 gennaio del 1916 uscivo, con una forte pattuglia, per riconoscere un terreno conquistato, e per l'eventuale occupazione d'un poggio, da dove il nemico molto ci molestava. Ad un tratto, quando eravamo bene innanzi, s'apriva su di noi un violento fuoco di fucileria. Cadevo colpito da una pallottola deformata.
     Debbo qui ricordare, con gratitudine, il mio attendente sardo, Angelo Porqueddu. Non appena sapeva l'accaduto, dalla trincea, sotto il tiro degli austriaci, correva a me, con coperte e con il pacchetto di medicazione, per prodigarmi le prime cure.

     Nella notte soltanto potei essere trasportato, in barella, e per sentieri difficili, con un largo squarcio nella coscia destra, in un ospedaletto da campo, quindi, con treno speciale, all'ospedale Mauriziano di Torino.
     Il primo mio sangue, ciò che mi dava una certa superiorità su gli altri, era stato da me versato.
     Si stava bene in quell'ospedale, così detto dei nobili, quantunque pure là l'area serena, che vi si respirava, fosse rotta dai lamenti dei feriti, provenienti dai diversi fronti di combattimento. I letti erano morbidi, ma abituati ormai a dormire su la dura terra, o su miseri giacigli, con gl'indivisibili compagni della povertà, vi si stava quasi a disagio.


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Umberto