T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Ma neppure questa volta, protetto da qualche benigna deità, o dalla mia santa mamma, la mia anima se ne era andata.
     Dopo un po' di tempo, quantunque molto contuso, mi potei rialzare e tornare, con meraviglia del nemico, se mi stava ancora a guardare, verso la nostra linea.
     Per natura io non avevo paura, non temevo la morte, sempre allegramente sfidata; mi ci divertivo, quasi, a giuocare con essa. Non commettevo, però, le pazzie del maggiore Ermanno Razzetti, del 161. fanteria. Egli di giorno e di notte s'avvicinava da solo per insultare, con l'uso di un megafono, gli attoniti austriaci.
     Un giorno volle condurre, in una di queste inutili bravure, con altri ufficiali, anche me, che già mi trovavo, con le mitragliatrici, in un posto avanzato. A mano a mano che ci avvicinavamo alle trincee nemiche gli ufficiali, che conoscevano le bizzarrie di quel maggiore e che non intendevano morire a quel modo, salutavano e tornavano indietro. Quando per la vicinanza dei reticolati non era più possibile di andare avanti, con lui eravamo rimasti io ed il tenente torinese Cane.

     Dinanzi a tanta pazzesca audacia gli austriaci, a non più di quaranta metri, ci guardavano meravigliati, senza sparare. Ci dovevano considerare appunto o matti, degni di commiserazione, o disertori, in cerca d'un varco per passare dalla loro parte.
     Non potendo andare più avanti, come la cosa più naturale di questo mondo, piegammo a destra, parallelamente al fronte, come per una pacifica ricognizione. Continuando nel cammino ci andammo a cacciare in una stretta, dalla quale, quando gli austriaci aprirono finalmente il fuoco su di noi, non sapevamo come uscirne. La nostra situazione, anche se protetti da alberi, non era davvero lieta. Quando vedemmo avanzare con i fucili spianati da un varco, nelle ombre della sera, che già calavano, una pattuglia nemica, per sottrarci alla cattura, poiché non avevamo neppure le armi per poterci in qualche modo difendere, rompemmo l'indugio. D'improvviso, con la sveltezza dei camosci, ci precipitammo giù per i dirupi, mentre i proiettili ci fischiavano rabbiosi attorno. E fummo salvi.


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Umberto