Non tardava la tranquilla nostra amicizia ad essere insidiata da altra signorina, già fidanzata, di famiglia austriaca, molto vivace, nella bruna bellezza. Cercava, con mille moine, d'attrarmi a sé, per far dispetto a Marta. Non ne conoscevo le ragioni. Io resistevo, validamente.
Una sera m'invitava, la sirena, scaltramente, d'accompagnarla in città, al cinematografo. Ero posto al bivio, ma, per non apparire scortese, andavo.
Non era tutto. Nel riaccompagnarla a casa, poiché avevo tenuto un contegno corretto, m'attirava, la notturna ninfa, entro il recinto della villa, ove abitava soltanto con il padre. M'attirava ancora, con dolce arte, dall'uno all'altro vialetto, entro i meandri fioriti, illuminati da un bel chiaro di luna.
Non so in quella notte quanto tempo restassi in quell'alcova di sogno, profumata di gelsomini.
Quando rientrai nella villa di Servola, ove Marta forse vegliava con l'animo teso, l'alba annunziava già ai mortali il sorgere vicino del giorno.
Nella confusione delle razze e dei sentimenti non soltanto la bella austriaca, ma anche un'avvenente giovane vedova slava sorgeva su la strada della buona Marta.
Vidi questa nuova ninfa d'amore, adorna di squisita grazia, dinanzi al cancello della sua villa, di ritorno, per la via dei colli, da Trieste a Servola. La rividi ancora la seconda sera, come se m'aspettasse. I nostri sguardi s'incrociarono, le nostre labbra s'aprirono ad un lieve sorriso. Nel turbamento non osai di più, ma con il sangue un po' caldo, ripassai alla stessa ora, la sera dopo, dinanzi a quella villa.
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