Nei trattenimenti, nei quali ero poi ammesso, intervenivano germanici, austriaci, slavi. Non era difficile intuire quali sentimenti si agitassero, in quelle riunioni, nel cuore di ognuno.
Il tedesco, nel suo orgoglio, non poteva non considerare, con pena, la tremenda disfatta. L'austriaco, nel ricordo del passato glorioso, non poteva non piangere, con la terribile disfatta, su i superbi idoli infranti. Lo slavo, alla sua volta, non poteva non considerare l'inutilità del suo sacrificio, per una patria non sua.
L'italiano soltanto poteva gioire sulla gloriosa riscossa.
Questo nel segreto. Negli atti esterni nulla trapelava. Si suonava, si ballava, si cantava, si brindava nelle eterne finzioni, alla grandezza della patria di ciascuno.
Non era mancato neppure a Servola, come ornamento, il solito infiorato idillio, con la figlia maggiore della casa, che mi ospitava, Marta, dalla flessuosa alta persona, dai capelli d'oro. "Crini d'oro ed occhi azzurri", colori della predestinazione, secondo la leggenda.
Non era propriamente bella, Marta, ma era simpatica, intellettuale, colta.
Spesso ci davamo convegno nel giardino annesso alla villa, nel boschetto degli oleandri, ove si leggevano e si commentavano, con commosso animo, i migliori scrittori, i migliori poeti e tedeschi ed italiani. Poeti di fede e di disperazione; d'amore e di dolore, come il Petrarca, ed il Foscolo, il Gòethe ed il Leopardi.
Piace, pure, nel godimento, tormentare l'animo con i lirici lamenti.
Si facevano anche passeggiate romantiche sulle colline, coperte di ginestre; per la spiaggia, ombrosa di pini; sul mare, in barca bianca, su onde azzurre.
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