T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Ma il Piave, doppiamente sacro, ove si ricostituiva il fronte, fece il miracolo di restituire al nostro soldato, con la sua commossa voce, la coscienza di sé, del suo antico valore. E contro la linea del fiume, benedetto, inutilmente s'avventarono le imbaldanzite armate teutoniche.
     Dopo appena un anno, le ombre ch'erano discese fosche dal lugubre Caporetto ad avvolgere, penosamente, la nostra vita, svanivano nella luce che salì dalla gloria purissima di Vittorio Veneto.
     La corsa, nella riscossa, divenne furiosa sulle disfatte armate nemiche, per raggiungere, oltre il terreno riconquistato, l'ultima agognata meta: Trieste.
     Il sole, che nel più fatidico dei giorni volgeva al tramonto, dava ai cari colli, alla dolce città di San Giusto, già dal Carso in vista, con i tiepidi raggi del melanconico novembre, un aspetto che aveva del sacro. Il tripudio, la divina esaltazione dell'entrata nella città santa ci faceva vivere fuori della terra, in una vita di sogno.

     E si tornava, nella vittoria luminosa, nella vita di pace.


     Ero destinato, per il periodo dell'armistizio, con il grido di capitano e con la mia compagnia, nel non lontano borgo di Servola. Requisivo per alloggio, secondo gli usi di guerra, una stanza presso la casa d'un prussiano, ingegnere e direttore d'un alto forno, colà esistente. Vi ero all'inizio, e non poteva essere diversamente, appena tollerato. Con il mio contegno non tardavo, però, a svegliare in quella famiglia, in cui erano pure due signorine, sentimenti di simpatia.


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Umberto