T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Noi dipendevamo dal 27. Corpo d'Armata, comandato dal generale Badoglio, scomparso pure lui, nella catastrofe.
     A San Giovanni di Manzano, preso finalmente contatto con un comando militare, il battaglione aveva ordine d'unirsi ad altri tre battaglioni di fiamme gialle, giunti dal Carso, per costituire tutt'insieme, nella ritirata, una specie di retroguardia. Dovevano spingere, inoltre, di là del Tagliamento prima, di là del Piave dopo, tutti gli sbandati, che erano migliaia, pericolosi alle popolazioni civili, con il loro spirito di saccheggio.
     Il compito era assunto ed eseguito con coraggioso zelo.
     Non dirò dell'altro pietoso spettacolo della popolazione anch'essa, nella maggior parte in fuga. Le strade, chiuse già da carri e da cannoni abbandonati, ne erano pericolosamente ingombre. Ogni fuggiasco aveva con sé su le spalle i sacri penati, oggetti cari, fagotti rigonfi, bambini in pianto, vecchi invalidi, e menomati, e malati.

     Nessuno voleva lasciare alle beffe, ai maltrattamenti del nemico, imbaldanzito, i propri cari.
     Nel ripiegamento, oltre a tanti altri preziosi oggetti di carattere militare, raccogliemmo e scortammo sino a Conegliano la bandiera dell'84. reggimento fanteria.


     In quanto a me mangiavo quel che capitava, anche polenta; bevevo e riacquistavo, a mano a mano, con la salute, tutte le mie forze. Sopportavo serenamente le sofferenze della ferita al ginocchio.
     Il dolore della disfatta, che pareva irreparabile, m'aveva reso maggiormente aggressivo. Bastonavo gli sbandati, i vigliacchi, coloro che nulla sentivano della nostra sciagura. Non si sottraevano alla mia ira neppure gli ufficiali superiori.


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Umberto