T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Tutte le truppe, che discendevano sull'Isonzo dagli altri settori, erano, da quella torbida fiumana, proveniente da Caporetto, irrimediabilmente travolte. Non era travolto, anche un po' per mio merito, il mio battaglione. Non erano travolti gli altri battaglioni dei soldati dalle fiamme gialle, e vada il ricordo in loro onore, che ripiegavano dal Carso.
     Nei pressi di Plava ero ferito da una scheggia di aeroplano ad un ginocchio. Mi medicai alla meglio e restai al mio posto.
     Nella notte si faceva guardia sul monte Corado, ove gli artiglieri avevano abbandonato, senza sparare un colpo, cannoni e montagne di proiettili. Gli ufficiali dov'erano?
     Nella stessa notte, nella veglia dolorosa, s'assisteva ad uno dei più infernali spettacoli, mai forse pensato da mente umana. Lungo la vallata dell'Isonzo, su per i monti, in ogni punto del Carso pietroso, vicino e lontano, con la distruzione dei depositi di munizioni e dei magazzini, non si vedeva che un solo gigantesco incendio. Gli scoppi delle granate, delle bombe, dei razzi e di altri simili luminosi e fragorosi ordigni, incendiavano, tra il fumo di fuoco, fantasticamente l'aria. Faceva pensare, quel turbinio di fiamme, a fuochi giganteschi d'artificio, di demonii in festa, in una vulcanica bolgia infernale.

     In quello spettacolo tenebroso, nella notte di annientamento, s'udiva, nel basso, piangere l'Isonzo.
     Anche noi, nel nuovo giorno, rimasti soli su quel monte, fummo costretti, sia pure con le armi in pugno, di continuare nel ripiegamento. Cercavamo, sulla nostra strada, un qualche comando, da cui ricevere ordini, ma comandi non se ne trovavano. Non vi erano più presidi, né posti di collegamento. Tutti, nel panico, erano in fuga: comandi altri e bassi, ufficiali e soldati. Soltanto noi, e lo dico non per vana gloria, ma per l'affermazione d'una sacra verità, ci tenevamo uniti, conservavamo le armi, prestavamo servizio, di nostra iniziativa, per salvare qualche cosa. Per salvare, se non altro, il nostro prestigio, l'onore delle armi italiane.


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Umberto