Ma nulla mi capiterà, lo sento. Dopo la bufera torneranno a rifiorire, nel nostro giardino assolato, i fiori più belli, dal profumo più delicato. Ma se non fosse così non disperare. Io sarei a te vicino nella memoria e nel cuore, per ripetere nella notte senza astri, il canto melodioso della nostra vita bella. Dopo, come è comune destino, anche tu un giorno mi verresti a raggiungere nella pace della tomba santa, nel silenzio eterno del tempo."
Sopravvivevo, ma quante peripezie, quante trepidazioni per la mia città, per i miei concittadini. La mia compagna restava pure lei al suo posto, come un soldato, e concorreva a lenire, con la sua bontà, le sofferenze altrui. Più volte, nei bombardamenti, la morte aveva sfiorato la nostra vita. Memorabile la incursione del 4 ottobre, giorno di S. Francesco. Da poco il sole aveva superato il mezzogiorno quando s'udiva d'improvviso rumore d'aeroplani. Giungevano su di noi dalla Specola, come fulmini, facendo cadere qua e là una pioggia di bombe. La nostra casa non era colpita, ma aveva, con rotture di vetri e larghe lesioni, sussulti di terremoto.
Anche dopo di ciò la cara compagna non si volle muovere, non volle accettare un rifugio lontano e sicuro. Anzi volle venire entro la città per meglio dividere con me le ansie, i disagi, i pericoli della tragica ora.
La notizia della mia offerta, che non tardava a diffondersi, produceva ovunque commossa ammirazione. Si capiva che con un simile Podestà la città poteva vivere tranquilla. Molte furono, nel sentimento caldo di gratitudine, le promesse di riconoscimenti, di adeguate ricompense. Io non vi facevo caso. Ma mi turbava il pensiero, se riuscivo a salvare la vita, di quelle future pubbliche manifestazioni. Un senso di commosso sgomento m'invadeva nel fantasticare l'adunata e i discorsi alati e gli applausi che si sarebbero sollevati, come uragano, dal popolo intenerito.
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