Salimmo alla Forchetta, dinanzi alla quale s'apriva un magnifico panorama. Teramo si vedeva laggił, in fondo alla vallata, dove si perdeva, nel suo corso, il Tordino tortuoso. Si vedeva la cittą tranquilla nelle sue case bianche, nelle nuove costruzioni, nelle chiese monumentali, nel bel campanile del Duomo. E si vedevano le case, i paeselli sparsi dal piano alla montagna, che emergevano, nel loro silenzio, dai campi verdi, tinti qua e lą da fiorellini azzurri del lino, nella primavera in festa. E si vedeva la cupola bianca della Specola, rivolta a scrutare, infaticabilmente, i regni misteriosi del cielo.
Andando oltre arrivammo al villaggio, a quella chiesuola, meta principale del nostro viaggio. Viva l'emozione. In essa, nella sua antica sepoltura, ermeticamente chiusa, dormiva l'eterno sonno il saggio nonno Giuseppe. Ci inginocchiammo su quella sepoltura, in devoto raccoglimento. Dopo visitammo l'abitato. Nulla vi era mutato. I bambini di allora, miei piccoli amici, avanti negli anni, non avevano la forza di presentarsi. Si facevano avanti, invece, le donne anziane per rievocare quel passato lieto di cari episodi. Quanta semplicitą nei racconti, quanta grazia ed anche quanta dolce mestizia. Il ricordo dei genitori, e mi inorgogliva, nella bontą e nella bellezza, vi era tuttavia vivo. Andammo sul terrapieno. La casa bianca era ancora sulla strada, ma non vi era pił la mamma. |