T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Degli Strina, con la morte dell'ingegnere Massimo marito di Settimia Vicentini, non vi era più nessuno. Questa nobile famiglia, come quella dei Marotta a Salerno, si doveva ritenere estinta. Le donne superstiti vivevano a Roma, con altro nome, con i propri mariti.
     In tal modo anche le famiglia, come i singoli, come tutte le cose, dall'atomo ai continenti, nascono, prosperano, decadono, muoiono, si disperdono senza più nome, nell'eternità dei secoli. Per ora non morirà, non scomparirà il nome degli Adamoli, forti anche in Abruzzo di nuovi robusti virgulti.


     Ma un altro pellegrinaggio volli fare dopo quello dell'Aquila alla tomba della mamma, laggiù a Giffoni Vallepiana, nella silenziosa vallata degli ulivi. Ripercorrevo, per giungervi, la strada già tante volte percorsa, nelle diverse età e nelle diverse condizioni, da solo o con la famiglia. Vi giungevo in un pomeriggio d'ottobre mentre il sole, per accrescerne la religiosità, pareva che attenuasse i suoi raggi luminosi. Nessuno in quel momento, nel silenzio che vi dominava, era nel sacro recinto. Chinato in raccoglimento dinanzi all'arca santa, vivevo in quello stato in cui sembra che si perda la cognizione del tempo e delle cose. Il mio spirito entrava e rimaneva a colloquio in quella tomba con lo spirito della mamma. Uscivano insieme poi per elevarsi come in festa, nella serenità del cielo.

     Io vedevo quasi la mamma come l'avevo veduta nell'alba mistica di Firenze, nella sua ideale bellezza; ne sentivo la voce e la morbida carezza. Non era sola. Facevano ad essa corona le care sorelle Maria Concetta e Maria Gesù. Non vi era il babbo. Ma forse vi era anche lui anche se lontano con i resti mortali. Lo spirito, non più legato alla materia, la libero nello spazio.


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Umberto