T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Vi restammo qualche ora, in beatitudine. Vi mangiammo. Nel villaggio che non rivedevo da bambino, visitammo per prima la casa della nonna. Visitammo la chiesa che a me tante cose affettuose ricordava; ci avvicinammo al battistero che aveva inteso, fornendo l'acqua lustrare, i vagiti dei nostri cari. Ci recammo sulle rive del Vera che scorreva, con le sue acque limpide, come in un sogno, tra le sponde ornate di pioppi e di salici.
     Anche i nipoti, molto sensibili, erano colpiti da quella bellezza. Ma non so se essi, che tutto osservavano, riuscissero a penetrare nei sentimenti che quei luoghi risvegliavano nel mio animo commosso.
     Gli abitanti, per i quali eravamo gente nuova, ci seguivano con curiositą nelle nostre visite, nei nostri discorsi. Non ravvisavo in essi nessuno dei miei antichi piccoli amici. A qualche mia domanda, sulle quali non insistevo, mi si rispondeva vagamente. Le Vicentini, mie compagne di scuola, non erano pił a Tempera. La piccola Candida, che io immaginavo ancora sul Vera, sotto i salici, al mio fianco di bambino, fresca nei suoi nove anni, viveva maritata nella vicina Paganica. Non mi punse il desiderio di rivederla per non guastare la dolce visione di bambina, che ne conservavo.

     Nella sera tornammo all'Aquila senza incontrarvi nessuno dei parenti delle famiglie Strina e Vicentini. Con la morte di Vittorio, l'ultimo figlio di Ascanio, il quale con Giuseppe Adamoli e Isidoro Strina aveva costituito la triade dei cognati componente il Comitato insurrezionale di Paganica, la casa dell'Aquila si poteva dire chiusa. Il figlio Ascanio, che aveva il nome del nonno, avvocato pure lui, viveva con la madre Aurora a Roma.


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Umberto