T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Una volta vi andammo pure noi. Partimmo da Tempera in una fresca alba del mese di agosto. La strada, ardita e tortuosa, attraversava, nel suo primo tratto, una galleria, scavata nella roccia. Pił avanti, dopo l'arido e l'orrido, s'apriva, quasi d'improvviso, un magnifico paesaggio. Nel basso si spiegavano prati, ricchi di erbe di acque, sgorganti da fresche polle, e salici senza numero, e pioppi, e fiori. Nell'alto, su i poggi, doviziosi di vigneti, si schieravano i bruni paeselli, dietro i quali, lontano, apparivano le montagne, tra le quali quella di San Franco, meta della gita.
     Arrivammo all'acqua miracolosa quando, sull'incomparabile scenario, sfolgorava il sole, con la sua estiva magnificenza. Facevano corona alla localitą, con largo raggio, quei monti, prima intravisti, sopra i quali si elevava e dominava il Gran Sasso.

     Monti rocciosi in alto, quasi inaccessibili; erbosi in fondo; folti di boschi nel mezzo. Lungo le pendici, ai margini dei boschi, pascolavano le pecore, tornate, per la durata della favorevole stagione, dai pascoli invernali delle Puglie e dell'Agro romano.
     Ma la nostra attenzione era attirata dall'acqua, che scaturiva davvero da un sasso, attorno al quale erano raccolti, come attorno ad un'ara sacra, pellegrini giunti nella notte, da altre contrade.
     Usavano di quell'acqua nel modo pił largo, nella ferma fiducia di guarire o di prevenire malattie.
     La mia anima di fanciullo ne rimaneva fortemente colpita.
     Tra le feste religiose che si organizzavano a Tempera notevole quella in onore di San Biagio, patrono del villaggio. Caratteristica la gara che si accendeva tra i giovani, vestiti con i migliori abiti, per portare a spalla, nella processione, il Santo.


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Umberto