La buona mamma, dall'alto sentire e dal cuore d'oro, era la dea personificata della carità, la dea consolatrice dei sofferenti, la luce degli sventurati.
Avevo io rivisto i piccoli amici, anch'essi cresciuti di cinque anni, con festa.
Una corsa, per riconoscere l'orto, i campi, i valloncelli, la fontana, il fiume e quanto, del passato, m'era rimasto alla memoria.
Tutto andava bene. Era risorto, però, per me, il problema della scuola, alla quale non intendevo rinunciare. Non si sapeva proprio come provvedervi, non potendo per quell'anno andare in città. La fortuna venne da sé in aiuto.
Una sera mi trovava a Rocciano alto, vicino al fuoco, nella casa patriarcale degli Spinozzi. Vi era nella veglia, come consuetudine, per commentare i fatti del giorno e per altri racconti, il parroco don Antonio Martegiani. La conversazione, ad un certo momento, cadeva su me. Rispondevo alle molte domande, che mi si rivolgevano, anche su argomento scolastico, con prontezza e con simpatico accento aquilano.
Da quella conversazione nasceva l'idea, messa poi in atto, di continuare nello studio a Rocciano, sotto la guida di quel buon sacerdote.
La fatica della malagevole strada da percorrere tutti i giorni, con qualunque tempo, per l'ansia che mi sospingeva, non mi riusciva gravosa. Anzi, specialmente nella bella stagione, mi tornava piacevole, anche per gli svaghi che vi incontrano.
Negli ulivi, di cui era ricca la costa, vi gorgheggiavano, nella primavera, come a gara, il merlo e l'usignuolo; vi frinivano, d'estate, dopo la mietitura, le oziose cicale. Più giù, appena fuori degli alberi, fioriva la poetica ginestra. Più giù ancora, in fondo al valloncello, mormorava, lieve, tra le erbe, un ruscelletto, e, in un pantano, gracidavano le timide rane.
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