Con quelle letture m'abbandonavo, pure, nei miei quindici anni, o poco pił, a molti sogni, per l'avvenire. Ero in quel solitario ritiro come in un deserto, per la preparazione intellettuale, morale e spirituale, necessaria ad affrontare, tra non molto, la battaglia della vita.
Qualche volta, dalla malinconia vinto, uscivo, andavo a frammischiarmi, nelle vicine campagne, nelle feste dei contadini, e cantavo nei loro cori, e ballavo nei loro balli, con le fresche coetanee.
Feste semplici, quindi belle, che avvicinavano alla schietta, alla sana anima popolare.
In una di quelle domeniche m'incontravo con una ragazza, venuta dalla cittą, di poco superiore alla mia etą, graziosa e fresca anche lei, come un fiore di primavera, sposata ad un uomo anziano, contro la volontą dei genitori. Ci parlammo con molta simpatia. Il marito non se ne mostrava geloso. Evidentemente, per l'aspetto ancora infantile, non dovevo sembrare ragazzo pericoloso.
Ascoltavo, con commosso animo, i lamenti, le pene che tormentavano quella donna gentile, risvegliata bruscamente, dal sogno dorato, ad una dura dolorosa realtą.
Ancora qualche incontro, con quella giovane non felice, in quella campagna. Dopo non rimaneva, di quell'incontro, che il ricordo, avvolto, come tanti altri ricordi gentili, da una leggera malinconica azzurrognola nebbia.
Il babbo ed io, lasciando Antonio a Teano, ce ne tornammo a Giffoni.
Di quel ritorno altro ricordo rimaneva vivo nel cuore. Nello scompartimento del treno, che ci conduceva a Napoli, viaggiava altra famiglia, composta dai genitori e da tre ragazze, loro figlie. Serena era quella famiglia, allegra, civile d'aspetto. La pił grande delle ragazze, di circa dodici anni, accompagnava, con simpatica voce, il padre, che suonava la fisarmonica. Dopo, tra il generale gradimento, intonavano un bel coro a tre.
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