Se l'acqua cadeva la grazia era stata ottenuta; se non cadeva la colpa risaliva ai peccatori, non meritevoli di perdono.
Ma la vita, anche dopo quella manifestazione viva di fanatismo, con la siccità o senza la siccità, non s'arrestava neppure per un attimo nei suoi intrighi, nei suoi inganni, nei suoi falli, ed anche nelle sue generosità, nella sua umanità, così a Giffoni, così in ogni altra parte del mondo.
Molto ascoltavo, nel luogo natio della mamma, con ansioso animo, la storia, già in parte a me nota, dei Marotta, raccontata, con orgogliosa fierezza, dalle vecchie zie e da quel Ciriaco, patrigno della mamma, che aveva, nei suoi ottant'anni e più, dalla fluente barba bianca, l'aspetto d'antico anacoreta. Patrigno, ma anche zio, essendo fratello del primo marito della madre della mamma, quindi della stessa famiglia dei Marotta.
Degli altri parenti spesso visitavo la casa di altro zio, Luigi, ultimo fratello del nonno; casa composta dai genitori e da tre figli: Pietro, Angiola ed Emilia. Vivevano, con fiero contegno, su l'orgoglio dell'antico nome, e su i modesti residui del vasto patrimonio disperso.
Dominati da quell'orgoglio, vivo e tenace, nei meridionali feudatari, ritenevano una menomazione, una umiliazione, un'offesa per sé e per gli antenati, darsi ad una qualche attività.
La più ostinata appariva la mamma, donn'Anna Sica, già anziana, alta, bionda, dagli occhi cerulei e dall'aristocratico naso aquilino. Per nulla rassegnata alle dolorose vicende, parlava sempre con sdegnosa aspra voce.
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