Nella sera, riaccompagnato da quel buon signore alla stazione, riprendevo il mio viaggio. Nella notte di stelle si correva, successivamente, nella pianura pugliese.
I viaggiatori che io osservavo molto attentamente, come se ubbidissero a segreti ordini, salivano, ad ogni fermata, scendevano, chiacchieravano, mangiavano, dormivano.
Qualcuno di essi doveva tornare in famiglia, con la festa nel cuore, a rivedere, dopo lunga assenza, la mamma, la moglie, i figli, il caro luogo natio; altri s'erano messi in viaggio con la sola speranza d'un mutamento della loro non benigna stella; altri ancora, raccolti cupi in un angolo, correvano, con il cuore sanguinante, in seguito ad una chiamata telegrafica, verso la sventura.
Raccoglieva un po', quel treno in corsa, la vita, nelle sue luci e nelle sue ombre, nelle sue gioie e nei suoi dolori. Ma i viaggiatori, pur con i loro diversi stati d'animo, continuavano a salire e a scendere, a chiacchierare, a mangiare, a dormire.
Dopo Foggia anch'io m'assopii. Quando mi svegliai ero in piena terra d'Abruzzo, non molto lontano da Giulianova. Vi si arrivava quando apparivano gią ad oriente le prime luci dell'alba. Alla stazione, dove ero disceso, con una certa commozione, riudivo la natia parlata. Parlata non bella, ma per i cari ricordi, che ridestava, suonava in me armoniosa, come un gioioso canto.
Dopo non molto correvo, con il treno, pieno di preoccupazioni e di titubanze, verso Teramo. La figura dello zio m'appariva sempre pił arcigna, sempre pił dura nel suo carattere. Desideravo, quasi, che quel treno rallentasse la sua corsa, per avere agio di pensare ancora, di respirare ancora liberamente. Invece no. Anzi, come a dispetto, pareva che andasse pił veloce del solito.
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