Non finivano, nel frattempo, le simpatie delle donne, delle adolescenti figlie di Maria, che, nelle loro passeggiate domenicali, nonostante i moniti del parroco, mi ricercavano, per confortare la mia solitudine, su la montagna. S'interessavano, nei boschetti, nei valloncelli, freschi d'acqua e di verde, innocenti idilli.
Ma altra ragazza, di esuberante vitalità, pure vi veniva da sola; amava introdursi con me nei meandri della folta boscaglia.
S'interessavano, in altri timidi abbandoni, altri idilli, mentre le foglie, i fiori, gli uccelli inalzavano l'eterno, il possente inno alla vita.
Non a torto i poeti avevano cantato dei fauni e delle ninfe, la beatitudine, le musicali dolci estati.
Cari giorni anche in quella dura buia vita! I genitori vivevano, tutti di casa vivevano, ed io avevo diciotto anni.
Povera buona Anita! Tornava, nel luglio, dal collegio di Como, in famiglia. Tornava con la fantasia accesa dalle romantiche letture, con l'animo colmo di desideri e di poesia. Anche lei, quindi, non sapeva sfuggire alle attrattive del fatale bimbo. Con lo sguardo mi cercava, dalla vicina casa, nella caserma; mi cercava, mi seguiva con lo sguardo, qualche volta pure con la persona, sulla strada. L'incontro, che io, nelle mie oneste considerazioni, cercavo di evitare, avveniva poco discosto dal villaggio, su d'un poggio coperto di pini, dinanzi al lago, che palpitava di sotto. Le due giovinezze che sbocciavano allora alla vita non potevano anch'esse non palpitare, come le azzurre onde del lago, nella bellezza, da cui erano circondate.
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