T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Anche qui non tardava la perfidia a farsi sentire. Il brigadiere, capo del reparto, altro velenoso rettile, mal mi tollerava. E a dire ch'ero disciplinato, rispettoso, scrupoloso, anzi zelante nell'adempimento dei miei doveri. Non voleva che io studiassi. Non potendo in altro modo nuocermi, ogni qualvolta prendevo un libro, anche se ero in turno di riposo, mi comandava in un nuovo servizio. Mi faceva raddoppiare, ciò che non avveniva per gli altri, i turni di alta montagna.
     Non ne ero scontento, quindi non reclamavo. Almeno lassù potevo dedicare, senza essere disturbato, molte ore allo studio. E studiavo, nel pieno inverno, chiuso nel sacco a pelo, con il naso rosso, con le mani intirizzite, mentre la neve cadeva abbondante su me, su i quaderni, su i libri, su i pensieri.

     Curiosa sempre la vita. Mentre io, riscaldato da un ideale, studiavo in quelle difficili condizioni, altri stavano ad oziare, senza alcun profitto, negli agi, nel lusso, nel caldo dei collegi!
     Andare in montagna m'era gradito pure per altra ragione. Nel mio cuore era sempre viva la persona della mamma, che lottava laggiù, a Giffoni, con le dure necessità. La mia paga in quel tempo non era che di sessantadue lire mensili. Con esse dovevo provvedere a tutte le spese, comprese quelle per il vitto e per il vestiario. Rimanendo tutto il mese in caserma, poco o nulla mi sarebbe rimasto. In montagna la spesa la regolavo io. Vi praticavo il vitto il più igienico di questo mondo: pane, pancetta ed acqua fresca di fonte.


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Umberto