T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Non potevo, in quella desolazione, non ripensare quando fanciullo, di dietro i vetri delle finestre di casa, lą a Rocciano, commiseravo il solitario viandante, che in sull'imbrunire passava sulla strada deserta, coperta di neve. Tormentata dal vento. Ancora lontana la sua casa, ancora lungo il cammino, su per i colli, colmo di pericoli. Il lupo, cacciato dalla montagna, aveva ululato nella neve. Sentivo per lui, e per i familiari, che lo attendevano in pena, la pił larga pietą.
     E non soltanto per gli uomini avevo pietą, ma anche per gli uccelletti, che svolazzavano intirizziti e smarriti, da cespuglio a cespuglio, da albero a albero, da tetto a tetto, insidiati sempre dalla umana cattiveria.
     Ma quel viandante avrebbe tra poco ristorato le sue forze, ribenedetto la vita, nella casa riscaldata, negli adatti cibi, nel letto caldo di lana e di affetto. Quegli uccelletti avrebbero trascorso la gelida notte nel rifugio dei fienili.

     Ma io dove mi sarei rifugiato?
     Povere vedette insonni delle Alpi! Chi conosceva i loro sacrifici? Mentre nelle cittą, nei teatri, nei caffč, nelle feste, nelle case riscaldate gli italiani godevano gli agi, le gioie del vivere, lassł, a tremila metri, alle porte della patria, qualunque il tempo, l'ora, il pericolo, stava a guardia, sulla loro sicurezza, l'imperterrito soldato dalle fiamme gialle. Quel soldato che nell'adempimento del dovere poteva cadere, come erano caduti quei giovanissimi, che dormivano sotto quella neve, ma non tradiva mai la sua consegna.


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Umberto