Soldati, e molti lo ignoravano, i più arditi, i più dotati di spirito di sacrificio, i più fedeli, tra i fedeli.
Dopo tre mesi, mercé il nuovo interessamento del tenente, a dispetto del perfido brigadiere, rientrai al mio reparto di Porlezza.
Quelle giovani sante vittime del dovere furono ritrovate in aprile, nello scioglimento delle nevi. Furono resi loro, a spesa dello Stato, solenni funerali, ai quali parteciparono, mossi da pietosi sentimenti, con le autorità, gli abitanti della vallata.
Io vidi sfilare le bare benedette da una cima, ove, quel giorno, mi trovavo di servizio. Il mesto corteo, illuminato da pallido sole, proseguiva, nel basso, lentamente. Una banda riempiva la contrada dalle note lente d'una malinconica marcia funebre.
Seguii quel corteo, con lo sguardo e con l'animo, sino a quando non scomparve dietro un poggio, di là dal quale si trovava, circondata da cipressi, il piccolo cimitero alpino.
Per quel giorno, dinanzi allo spettacolo della morte, nel tumulto dei miei sentimenti, non aprii libro.
Nella Pasqua potei, finalmente, visitare la casa, dalla quale era partito il nonno. Era venuto a prendermi a Porlezza lo zio Vittorio, incontrato sul piroscafo.
Nel passare per Bellano, ove ammirai il monumento a Tommaso Grossi, visitai i parenti, che vi dimoravano. A Narro prendevo alloggio nella casa del nonno, abitata, appunto, dallo zio Vittorio. Dall'intonaco bianco, dagli ampi balconi dalle persiane verdi, signoreggiava essa nel centro del borgo, del quale era sindaco Fortunato, altro cugino del babbo.
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