T. Col. Umberto Adamoli
NEL ROMANZO DELLA VITA (MEMORIE)


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     Quando su quel lembo di paradiso il possente Febo mandava, come una carezza, i suoi amorosi raggi, e da ogni parte saliva con le foglie, con le acque, con i fiori, con gli uccelli il divino canto del creato, pareva di vivere in un sogno.
     Ma il sogno tosto svaniva per noi, richiamati bruscamente alla nostra realtà dal gigantesco edificio, messo, come a guardia, all'ingresso di quel paradiso.
     Superavo, a suo tempo, gli esami di passaggio dall'uno all'altro corso. Superavo, nell'anno successivo, dopo fatiche ed ansie indicibili, gli esami finali di promozione.
     In tal modo il ragazzo del Tordino, lo scolaro di Rocciano, il bimbo di Oria, per solo suo merito, risaliva, con le fiammeggianti spalline da ufficiale, nell'ordine superiore degli avi.
     Dopo un festoso banchetto, inaffiato con abbondante spumante, si dava un addio, pure con qualche cosa di mesto nell'animo, a quel Palazzo, a quella Scuola, dove s'era tanto palpitato, tanto sognato, tanto sofferto.

     Si dava un addio alla vita del sottufficiale, modesta in apparenza, ma che pure aveva in sé tanti pregi, tante virtù, tanti elementi nobilissimi.
     Sentivo di dare, nel nuovo sbalzo luminoso in avanti, dinanzi ai nuovi più forti doveri, un addio al passato, alla giovinezza, sempre bella e d'estate e d'inverno, e nell'alto e nel basso, e nella ricchezza e nella miseria.
     Addio cari giorni del bimbo di Oria!
     Fuori da quel recinto, da quella maestosa reggia, rimanevo sulla strada per qualche tempo fermo, agitato da molti pensieri. Avevo ottenuto, con una non comune forza di volontà, una luminosa vittoria su gli avversi eventi, si, ma non ne godevo appieno la gioia. La persona, che avrebbe dovuto partecipare a quella festa non viveva più; quella che, nelle leggi eterne dei santi affetti, avrebbe dovuto sostituirla in terra, non era stata ancora incontrata.


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Umberto