Sentivo su quella strada coperta di platani, mentre i compagni s'allontanavano festosi, nelle malinconiche riflessioni, un largo vuoto a me d'intorno.
Dopo anch'io andavo alla stazione, per prendere il treno per Teramo.
Una nuova luce ad ogni modo illuminava, nelle nuove condizioni, la mia via e la mia vita.
A Teramo ero accolto con festosa affettuosità. Lo zio Aldobrando mostravasi fiero di vedere un nipote ufficiale. Ne parlava ai conoscenti, facendo il mio elogio, con molto entusiasmo.
Poiché nelle cose della vita non vi è mai perfetto sereno, non tardavo ad osservare che tra lo zio e il fratello Federico non vi era molto accordo. Un giorno lo zio, facendo le sue lagnanze, me ne parlava. Era, in verità, troppo esigente. Prima di ripartire, però, riuscii a ristabilire tra essi la buona armonia.
Ma dopo non molto un fatto nuovo sopraggiunse a mutare il corso degli eventi.
Dopo la morte di Diana Ridolfi, seconda moglie di Giovanni, avvenuta in quel tempo, la figlia Annunziata, brava studentessa, che stava per essere licenziata dalle magistrali, era rimasta sola. Lo zio Aldobrando, non dimenticando che si trattava d'una nipote, anche per consiglio d'amici, la prendeva in casa.
Nei due cugini, organi di genitori e giovani, non tardava a svegliarsi una scambievole simpatia, che a mano a mano diveniva sempre più viva.
La china sulla quale i due scivolavano si faceva sempre più morbida, in fondo alla quale fioriva, con i dolci allettamenti, la promessa gaia della vita.
Un telegramma, dopo qualche giorno, mi fece accorrere da Grosseto, nuova mia residenza, a Teramo. L'idillio era stato scoperto e gli innamorati erano stati messi, senza pietà, al bando della casa.
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