Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Nel godimento del breve ozio, ascoltavo anche la musica, diffusa dalla radio del non lontano autocentro militare.
     L'ora del riposo si svolgeva, in quell'aperta campagna, nel caldo di luglio, poeticamente tranquilla. Nessuna nube in aria, di nessuna specie. Poche ombre nel cielo politico. Non si spiegavano, perņ, in relazione alla guerra che si combatteva, gli improvvisi rovesci della Tripolitania e della Tunisia. Non si spiegavano la resa, dopo debole resistenza, della ben munita base navale di Lipari, e l'abbandono precipitoso delle isole di Sicilia e di Sardegna, preziosissime perle del nostro Mediterraneo. Nč si spiegava il facile sbarco alleato nelle difficili coste della montagnosa Calabria. Molte altre cose non si capivano. Ma i buoni Pretuziani, guardando il paterno Gransasso, cuore d'Italia, simbolo d'unitą e di potenza, non se ne scoraggiavano. Le armi italiche, al momento opportuno, si sarebbero lanciate ancora una volta alla riscossa, ed avrebbero ancora una volta scritto, nel glorioso nazionale poema, altri gloriosi canti.

     Invece, lontano, oltre i monti, oltre le valli, sulle rive del Tevere biondo, entro i Sette fatali colli, si maturavano eventi, che avrebbero duramente colpita la soverchia fiducia nella buona stella d'Italia, e data una brusca svolta alla tormentata sua storia.
     Quella radio che serviva, con l'altoparlante, tutta la contrada, completato il suo programma, lanciava vicino e lontano, nel piano e su i colli, una notizia inaspettata, che colpiva, sbalordiva: con meccanica, precisa rudezza annunziava al mondo la caduta del fascismo e del suo capo.


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Umberto