Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     E dai campi, percorsi dai pigri buoi, vittime spesso essi stessi di mitragliamenti, saliva il canto del lavoro, della santa fecondità.
     Il Podestà ne era lieto, soddisfatto, ed oggi dà atto, con orgoglio, per i presenti e per i futuri, del fermo contegno e della utile laboriosità, in momenti così tragici, dei suoi bravi concittadini. Quei concittadini, che senza sciocche spavalderie e senza avvilimenti, ma con molto buon senso, con condotta seria e dignitosa, sapevano imporre ai Tedeschi molto rispetto.
     Qualche volta lo preoccupava, però, la troppa confidenza con il pericolo, costituito, principalmente, dagli apparecchi, che, giungendo minacciosi su la città, da un momento all'altro, potevano seminare tra essi desolazione e morte.

     Ragione d'orgoglio costituiva anche il contegno delle donne, che, negli allarmi, anch'esse rimanevano serene al loro posto, ovunque si trovassero: nelle abitazioni e negli uffici, nei campi e nelle officine. Rimanevano al loro posto, anche quando, come nell'Asilo e nella Casa della Madre e del Fanciullo, scoppi fragorosi di bombe ne sconvolgevano il giardino, ne frantumavano i vetri, ne lesionavano i muri.

     Commuovevano ancora quelle madri che, all'apparire degli aeroplani, correvano a raccogliere, a coprire con il loro corpo, come le chiocce, i figli, che supponevano in pericolo, disposte sempre ad offrire la propria vita, per salvare quella degli stessi figli, se comunque minacciata.
     Ma sapevano anche queste brave donne compiere altri forti atti.
     Due soldati tedeschi, ad esempio, entravano un giorno, avvinazzati, in una delle case di S. Nicolò al Tordino. Non vi era, in quel momento, che una donna, contro la quale volevano usare violenza.


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Umberto