Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Molti, per sottrarsi alla cattura, fuggivano verso la campagna, verso i monti, verso i partigiani, che vedevano in tal modo aumentare, ad opera degli stessi Tedeschi, le loro file; altri si salvavano col rifugiarsi presso uffici, ove si facevano figurare come propri funzionari. Ad altri ancora, per sottrarli alla cattura, si rilasciavano certificati attestanti titoli, professioni, impieghi, mestieri mai esercitati. Anche la qualifica di studente o di "indispensabile" ad ipotetiche funzioni di pubblico interesse, fioriva coraggiosamente rigogliosa.
     Si ricorreva a tutti gli espedienti per attenuare, se non annullare, la caparbia prepotenza teutonica.
     Si dava la caccia anche agli ufficiali, i quali erano condotti in altre regioni, molti internati nella stessa Germania.

     Si alienavano, di conseguenza, sempre più le simpatie di coloro che, in qualche modo, erano stati ammiratori dei Tedeschi e delle loro buone qualità; aumentava sempre più negli altri lo spirito della reazione e dell'odio.
     Dopo vive coraggiose proteste, da parte delle autorità, i rastrellamenti, che mortificavano davvero l'umana dignità, si attenuavano, anzi a Teramo finivano. Nè di partigiani, che s'aggiravano nelle vicine campagne, si parlava ulteriormente.
     Qualche volta si spargeva sì sangue, ma quello fraterno. Come sangue fraterno si spargeva al fronte, ove gli Italiani, per un oscuramento dello spirito, per l'insensato odio di parte, combattevano in campi opposti, con quegli stranieri, dai quali ognuno aspettava, con uguale errata fiducia, la propria salvezza. Non ricevevano, per intanto, dagli uni e dagli altri, che disprezzo, miseria, distruzione.


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Umberto