Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Così cadeva, deluso ed addolorato, quell'amico delle madri e dei bambini, per la sanità, per la floridezza dei quali aveva profuso i tesori della sua capacità professionale, la nobiltà del suo gentile animo.
     Lassù, a la montagna, non s'udiva più la voce del cannone.
     La sera del 28 i Tedeschi, vinte le ultime resistenze, erano padroni del bosco.

     Io seguivo con ansia gli eventi, convinto che essi, qualunque l'esito, non avrebbero potuto influire, pel momento, in nessun modo, su la così detta liberazione di Teramo. Gli Anglo - Americani erano lontani, ed i Tedeschi avevano ancora, a loro disposizione, forze notevoli, bene armate e bene agguerrite.
     Sempre più fermo nei miei propositi, continuavo ad andare al comune puntualmente, ogni giorno nella consueta ora. Uscivo di casa tranquillo. Vi avrei fatto ritorno?

     Nei giorni che seguivano il drammatico colloquio, dal mio ufficio vigilavo la via in vista e la piazza sottostante. Ogni gruppo di Tedeschi, che vi appariva; ogni automobile od autocarro che vi sostava, e vi discendevano armati diretti al comune, in una confusione di sentimenti, pensavo giunta la mia ultima ora; che essi mi venissero a prendere, con l'onore delle armi, per la mia ultima festa, tinta di sangue.
     Venivano ancora, purtroppo, senza tregua, ma per altre ragioni, per altri tormenti. Però, dopo il famoso colloquio, notavo una certa attenuazione nei loro modi sgarbati e prepotenti.
     I tre ufficiali, che io aspettavo, non si facevano più vedere, nè da nessun altro si parlava più di partigiani, nè della mia fucilazione, al posto dei cento cittadini, nè della città da bombardare.


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Umberto