Pretendevano:
1) il loro scioglimento entro settantadue ore. Se l'ordine non fosse stato eseguito, scaduto tale termine, Teramo sarebbe stata bombardata, da apparecchi che si trovavano già a Pescara;
2) una lista di cento cittadini delle migliori famiglie, su i quali esercitare la rappresaglia, per il loro ufficiale ucciso al bosco, dai ribelli;
3) l'affissione di un manifesto, per avvertire la cittadinanza che per ogni soldato tedesco ucciso nel territorio del comune, dovevano rispondere con la vita, cento cittadini.
La richiesta rivolta in precedenza alla Prefettura era, in confronto, pallida cosa. Un senso di stordimento, un brivido di freddo mi sentii correre per le vene. Quegli ufficiali, dal cuore di sasso, evidentemente, dovevano aver perduto il bene dell'intelletto. In nessun altro territorio, per quanto si sapeva, era stata avanzata una richiesta così mostruosa. Lo dissi, chiedendone le ragioni. Dissi anche, per attenuarne la furia sanguinaria, che nessuna relazione correva tra le bande e la città, che quasi le ignorava; bande costituite, nella maggioranza, da slavi e da soldati alleati, fuggiti dai campi, in cui si trovavano prigionieri o internati. Se non fossero state provocate, forse non avrebbero neanche agito, in nessuna maniera. Molti avevano cercato la montagna per sottrarsi all'arresto, trattandosi di sbandati, di renitenti, di disertori. Protestavo, ad ogni modo, contro la pazzesca domanda, in sacrificio di sangue dei cento cittadini, che, nella categoria in cui dovevano essere scelti, nulla di male avevano fatto; che erano sempre vissuti in opere di bene, nella gioia della famiglia, fuori di ogni intrigo, di ogni passione politica. La guerra poteva avere le sue esigenze, anche severe, ma non poteva mai giustificare atti di scelleratezza tali, che avrebbero gettato negli animi dei popoli civili il più penoso sgomento.
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