Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Nella città in subbuglio ed in panico, intanto, tra il rumore delle armi, si chiudevano negozi, uffici, istituti, case. La fuga verso la campagna, verso i luoghi più sicuri, con ogni mezzo, diveniva sempre più larga, viva, affannosa. Pareva come se si fuggisse, con le cose più care, da una città colpita dal morbo, da una città maledetta.
     Lassù, nella montagna, coperta di nebbia, il cannone continuava a tuonare.


     Luci nelle tenebre

     Tale era la situazione, molto nera, quando si presentavano anche a me, nel mio ufficio, dove, dalla Prefettura, ero tornato, accompagnati da una signora romana che faceva da interprete, tre ufficiali: un maggiore e due tenenti. Prima che la discussione si animasse, avveniva un muto scambievole esame delle nostre persone, forse anche delle nostre intenzioni, dei nostri umori. Il maggiore aveva aspetto piuttosto bonario, ma da non farvi soverchio affidamento; uno dei due tenenti, biondiccio, dal viso terreo, aveva nello sguardo vitreo un non so che di cattivo, di torvo. Pareva che attirasse l'attenzione di quegli ufficiali, sopra ogni altra cosa, un quadro del Re, che pendeva ancora ad una parete, dietro la scrivania. Evidentemente ne erano rimasti turbati, ma non ne parlavano.

     Parlavano, invece, in termini molto vivaci, del momento che si viveva, degli ultimi avvenimenti, dell'armistizio. Requisitoria, quindi, contro l'Italia, contro i suoi uomini di governo. Non comprendevo, e ne ero mortificato, perché, dopo tante polemiche, tante accuse e tante difese, da parte di uomini responsabili, si ripetessero a me, modesto amministratore di un modesto comune, anche se capoluogo di provincia, le loro acide rampogne. Quel preambolo serviva ad attenuare, a giustificare la gravità di altra richiesta, in parte già rivolta alla Prefettura. Richiesta terribile, che riguardava, appunto, le bande della montagna; che riguardava Teramo, in cui quelle bande erano state organizzate, come essi affermavano, da cui quelle bande erano partite per operare ai loro danni.


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Umberto