Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Ciò che non potevano portar via, allo stesso modo dei barbari, rompevano, distruggevano. In qualche caso, come nella caserma Costantini, non mancavano di ricorrere, per la distruzione, alla forza del fuoco.
     Gli agenti della forza pubblica, i pochi rimasti, non erano in condizione d'agire, in nessun modo. I buoni cittadini, e ne erano molti, non potevano che guardare in silenzio e con dolore tanto scempio.

     Con la conclusione dell'armistizio, dinanzi ai nuovi eventi, che si presentavano nelle tinte più nere, potevo ritenere esaurito il mio mandato e ritirarmi. Ma in quel grave momento abbandonare la città e quella carica di responsabilità, che rivestivo, con piena soddisfazione dei miei concittadini, da oltre quattro anni, doveva sembrare una defezione, se non una vigliaccheria, indegna di un soldato, quale io ero. Restavo, come ero restato a quel posto senza emolumenti, anche quando dal Comando Generale, con il richiamo alle armi, mi si voleva destinare ad Ancona in un comodo e ben rimunerato servizio di carattere civile.

     Oltre a quelli comuni, altri pericoli potevo incontrare nella nuova situazione e nei rivolgimenti in atto, dalla mia iscrizione al partito fascista. Ma anche in tale ordine, da un esame di coscienza, stabilivo che non mi potevano fare accuse, non essendo stati mai a me affidati incarichi di natura politica, non avendo mai preso parte attiva alle manifestazioni del partito.
     Restavo anche nella convinzione che, con la mia condotta, avrei influito beneficamente su la popolazione, che aveva in me molta fiducia, esposta anch'essa, con i nuovi metodi di guerra, a tutti i disagi, a tutte le preoccupazioni, a tutti i pericoli.


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Umberto