Umberto Adamoli
NEL TURBINIO D'UNA TEMPESTA
(DALLE PAGINE DEL MIO DIARIO. 1943/1944)


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     Alla manutenzione delle proprie strade provvedeva, pure lodevolmente, con gli ottimi tecnici, tra cui il solerte ing. Antonio De Vico, la provincia. Quella provincia, che anch'essa si manteneva, con i molti enti e i molti uffici, in continua benefica attività.


     Nel popolo

     Ma era pur sempre il comune, genuina espressione del popolo, che, come faro luminoso, splendeva nel centro della città; che infondeva fiducia, coraggio, sicurezza; che aiutava a ritrovare la via del porto, tra i marosi della tempesta. Quel comune, al quale si rivolgevano, in tutte le ore, cittadini di ogni condizione, funzionari di ogni ordine, per notizie, consigli, incoraggiamento, conforto. Molto si voleva sapere dal comune, anche su la situazione militare, su la direzione di marcia degli alleati, nella loro avanzata; sui disegni dei Tedeschi, nella loro resistenza e nella loro ritirata.

     Il comune, con molta disinvoltura, dissipava apprensioni, fugava timori.
     La città appariva, quindi, ciò che destava molta meraviglia ai forestieri che vi giungevano, tranquilla come nei tempi migliori. Vi si vedevano, infatti, i caffè, le botteghe, il mercato con la consueta chiassosa clientela; il corso, le piazze, i giardini, il cinematografo, il teatro, in ogni ora gremiti del consueto spensierato pubblico; i lavoratori, senza preoccupazioni, nella loro ordinaria attività.
     Ed il martello s'udiva, sin dal mattino, allegramente martellare, nella officina nera del fabbro; s'udiva la sega e la pialla, nella bottega del falegname. Aperte erano, e nel loro lavoro, le botteghe del sarto e del calzolaio. Non mancavano, nell'alto delle impalcature, i maestri della cazzuola, in quelle costruzioni, che potevano essere, da un momento all'altro, distrutte dai torvi vandali dell'aria.


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Umberto